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Doping genetico

La terapia genica (in inglese gene therapy) ha lo scopo di correggere difetti genetici introducendo nelle cellule geni funzionanti o manipolando geni esistenti per ottenere benefici terapeutici.

Per anni lo sviluppo della terapia genica è stato offuscato da problemi di sicurezza e da risultati incerti, oggi sono oltre mille i trials clinici di sperimentazione, la maggior parte dei quali per patologie neoplastiche. Di questi studi circa un centinaio sperimentano l’inserzione di geni di fattori di crescita nel patrimonio genetico dell’ospite (The Journal of Gene Therapy, http://www.abedia.com/wiley/index.html).

Il doping genetico, invece, sfrutta lo stesso concetto non a scopo terapeutico, ma per migliorare le prestazioni degli atleti.

Il materiale genetico può essere trasferito a cellule in coltura o in vivo agli esseri viventi usando particolari vettori. La più comune forma di vettori sono i virus che, durante l’evoluzione, hanno sviluppato sistemi molto efficienti per introdurre il loro genoma (patrimonio genetico) in cellule per completare il loro ciclo vitale e generare altri virus. I virus utilizzati a questo scopo vengono modificati in modo da avere difetti di replicazione che gli consentano di introdurre contemporaneamente il gene di scelta ed elementi di regolazione che ne controllino l’espressione e ne assicurino l’inserimento nel tessuto corretto.

I virus più comunemente impiegati sono adenovirus, retrovirus o lentivirus. Gli studi preclinici sui roditori hanno indicato gli adenovirus come i vettori migliori da usare quando le cellule che si vogliono raggiungere sono quelle del tessuto muscolare scheletrico. I retrovirus hanno la particolare proprietà di inserire il loro genoma portando una modificazione permanente nel genoma dell’ospite a differenza di altri virus che non integrano il loro genoma nel nucleo delle cellule ospiti e il gene scelto si perde nelle successive divisioni. I lentivirus appartengono alla famiglia dei retrovirus di cui condividono la morfologia e il ciclo replicativo ma a differenza dei precedenti, possono infettare anche cellule non proliferanti come le cellule differenziate. Le proteine delle capsule dei virus determinano in quale tipo cellulare essi saranno in grado di entrare. Un possibile limite è dato dalla risposta immunitaria dell’ospite che può bloccare gli effetti di una ripetuta “somministrazione” di virus contente il materiale genetico da trasferire. 
Ci sono poi altri metodi non virali di inserzione di materiale genico che hanno, però, minore efficienza (1). Un’altra possibilità è usare cellule modificate in vitro da inoculare poi nell’ospite. In tutti i casi è importante tener presente il controllo della regolazione dell’espressione genica. In alcuni casi un’eccessiva espressione comporta elevati rischi per la salute, senza ottenere alcun beneficio (1, 2).

 

Esempi di geni candidati ideali per il doping genetico

Eritropoietina

L’Eritropoietina ricombinante (rEPO, epoetina e la darbopoetina; si veda scheda di approfondimento) è abusata in alcuni sport di resistenza, come ad esempio il ciclismo. È stata descritta un’alterazione del gene dell’Epo responsabile di una poliglobulia, ovvero di un maggior numero di globuli rossi con conseguente aumento della capacità di trasportare ossigeno ai tessuti. Tale alterazione può migliorare le prestazioni atletiche; un classico esempio a questo proposito è rappresentato dallo sciatore di fondo finlandese Eero Mantyranta, dominatore negli anni 60 delle olimpiadi invernali. Molti anni dopo le sue vittorie olimpiche è stato dimostrato che Mantyranta aveva la sopra citata alterazione del gene dell’Epo. Questo sciatore aveva, quindi, beneficiato di un vantaggio fisiologico costituzionale che gli consentiva di avere una maggiore ossigenazione ai tessuti, compresi i muscoli scheletrici.

Il gene dell’Epo, veicolato da un vettore virale, è un possibile candidato al doping genetico. Studi preclinici hanno dimostrato che tale gene può essere introdotto con successo negli animali come scimmie e roditori anche se sono stati descritti diversi effetti avversi tra i quali, paradossalmente, l’anemia [3-6].

IGF-1

Un altro gene che è stato introdotto con successo negli animali è l’Insulin-like Growth Factor-1 (IGF-1; si veda scheda di approfondimento). IGF-1 è un peptide la cui sintesi è stimolata nel fegato dall’ormone della crescita (GH) ed è coinvolto nella crescita e nel riparo muscolare. Gli studi sui roditori hanno chiaramente dimostrato che l’IGF-1 introdotto negli animali da laboratorio, mediante un vettore virale, controlla lo sviluppo muscolare producendo una ipertrofia muscolare, con aumento della forza del 15% e della capacità di riparo muscolare (7-9). Il gene in questo caso è stato introdotto solo localmente nel tessuto muscolare scheletrico evitando gli effetti tossici sistemici. Questa stessa efficienza e assenza di tossicità non è stata però riprodotta in altre specie animali.

Miostatina

La miostatina, conosciuta come una proteina enzimatica che limita la crescita muscolare negli esseri viventi inibendo lo sviluppo muscolare, è un altro candidato al doping genetico. Sostanze che bloccano la miostatina o geni che producono una miostatina funzionalmente difettosa consentono una crescita soprafisiologica della muscolatura provocando sia un aumento del numero sia delle dimensioni delle fibre muscolari striate, come si osserva in alcuni bovini portatori di una  mutazione congenita della miostatina che ne inibisce l’attività (10-12). La manipolazione di questa proteina regolatoria potrebbe portare ovvi vantaggi agli atleti. Una terapia genica con l’introduzione del un gene mutato per aumentare la massa muscolare si è rivelata efficace in modelli animali di distrofia muscolare, ma non nell’uomo (13, 14).

PPAR-delta

Un altro candidato al doping genetico è il fattore di trascrizione Peroxisome Proliferator-Activated Receptor delta (PPAR-delta). Tale fattore è coinvolto in alcune modificazioni del metabolismo energetico ed è associato alla formazione delle fibre muscolari di tipo I (fibre lente, che determinano la resistenza) e può indurre anche la conversione da fibre di tipo II (fibre veloci, che determinano la velocità) a fibre di tipo I. Gli atleti di elite in genere hanno alti livelli di fibre di tipo I. L’inserimento del gene PPAR-delta migliora significativamente la resistenza degli animali e contrasta lo sviluppo di obesità migliorando il metabolismo anche in assenza di esercizio. Gli effetti fisiologici di PPAR-delta sono da attribuire alla aumentata capacità da parte del tessuto muscolare di ossidare gli acidi grassi per soddisfare le richieste energetiche dell’organismo (2, 15-17). 

Effetti avversi

I potenziali rischi associati al doping genetico sono diversi e non devono essere sottovalutati. Il rischio generale della terapia genica comprende lo sviluppo di una risposta immunitaria violenta ai vettori virali, riposte autoimmuni verso le proteine codificate dal gene introdotto, e la possibilità patologie derivanti da mutazioni che possono insorgere in seguito all’inserimento del gene. Gli altri rischi sono più specifici e dipendono dal tipo di gene introdotto (1, 18). Ad esempio l’IGF-1 stimola la proliferazione e promuove la sopravvivenza cellulare; quindi alti livelli della sua espressione dopo il trasferimento del gene aumentano il rischio di sviluppare il cancro e ne promuovono la crescita. Nel caso di aumento di massa muscolare dovuto a un’elevata espressione dell’IGF-1 o derivante da un blocco della miostatina si possono generare rotture muscolari e/o tendinee da sovraccarico. I Macachi, nei quali è stato introdotto il gene dell’Epo, soffrono di gravi risposte immunitarie nei confronti sia dell’Epo endogena sia dell’Epo ricombinate; inoltre, l’eccessiva viscosità del sangue provoca lo sviluppo di episodi trombo-embolici come infarti e ictus e danneggia la funzionalità cardiaca (19). 

Seppur raramente, la terapia genica può avere effetti inaspettati e fatali, come nel caso di una terapia genica diretta contro una malattia genetica rara che ha provocato la morte di diciotto pazienti che facevano parte di uno studio clinico sperimentale, in seguito ad una violenta riposta immunitaria contro il virus introdotto (20, 21). Un altro effetto avverso inaspettato è stato descritto in alcuni pazienti affetti da grave immunodeficienza. Dopo la terapia genica questi pazienti hanno sviluppato una leucemia (22-25).

Misure di controllo contro il doping genetico

La nuova minaccia del doping genetico ha cominciato a essere discussa dalla World Anti-Doping Agency (WADA) nel 2002 molto prima che potesse diventare un pericolo reale.

Le implicazioni di questi interventi sul patrimonio genetico per modificare i parametri biologici correlati forza, potenza e resistenza interessano non solo i medici e i ricercatori ma anche gli allenatori e gli atleti che cercano tutti i modi possibili di migliorare le prestazioni fisiche. Per il momento la manipolazione genetica per migliorare le prestazioni sportive è più teorica che verificata da studi sperimentali nell’uomo (studi impossibili da realizzare per motivi etici). La WADA ha però già posto tra i metodi proibiti il trasferimento di acidi nucleici o di sequenze di acid nucleico e l’utilizzo di cellule normali o geneticamente modificate. Il doping genetico è di difficile individuazione durante i controlli anti-doping. Infatti, le proteine prodotte dal trasferimento genico sarebbero indistinguibili da quelle endogene normali. In molti casi i geni e i loro prodotti rimarrebbero all’interno di un tessuto (ad esempio il tessuto muscolare) rendendo difficile l’individuazione nel sangue e nelle urine. Per gli stessi motivi gli atleti, che assumono sostanze per migliorare le prestazioni sportive, il doping genetico rappresenta un richiamo irresistibile e sicuramente sarebbero disposti a provarlo prima che la terapia genica sia messa a punto rischiando di andare incontro a effetti avversi e che possono talora rivelarsi letali.

Per poter arginare l’avvento del doping genetico recentemente è stato introdotto il concetto di passaporto molecolare al fine di individuare i geni, introdotti nell’organismo, codificanti le proteine necessarie per migliorare le prestazioni sportive. La determinazione periodica dei livelli di espressione di questi geni potrebbe consentire di definire un pattern di espressione specifico per ciascun atleta. In questo modo il riscontro di alterazioni del pattern di espressione di questi geni può essere considerato sospetto di doping genetico. (26-28)

Bibliografia

1. Wells DJ. Gene doping. In: Mottram DR, editor. Drugs in sport. 5th ed. London: Mottram DR; 2011. p. 160-172 [Chapter 11].

2. Azzazy HM, et al. Gene doping: of mice and men. Clin Biochem 2009;42(6):435-41.

3. Svensson EC, et al. Long-term erythropoietin expression in rodents and non-human primates following intramuscular injection of replication-defective adenoviral vector. Hum Gene Ther 1997;8(15):1797-806.

4. Zhou S, et al. Adeno-associated virus-mediated delivery of erythropoietin leads to sustained elevation of hematocrit in nonhuman primates. Gene Ther 1998;5(5):665-70.

5. Gao G, et al. Erythropoietin gene therapy leads to autoimmune anemia in macaques. Blood 2004;103(9):3300-2.

6. Lasne F, et al. ëëGenetic dopingíí with erythropoietin cDNA in primate muscle is detectable. Mol Ther 2004;10(3):409-10.

7. Barton-Davis ER, et al. Viral mediated expression of insulin-like growth factor I blocks the aging-related loss of skeletal muscle function. Proc Natl Acad Sci U S A 1998;95(26):15603-7.

8. Lee S, et al. Viral expression of insulin-like growth factor-I enhances muscle hypertrophy in resistance-trained rats. J Appl Physiol 2004;96(3):1097-104. Erratum in: J Appl Physiol 2004;96(6):2343.

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12. Schuelke M, et al. Myostatin mutation associated with gross muscle hypertrophy in a child. N Engl J Med 2004;350(26):2682-8.

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